La competizione aperta a tutti

Panoramica della mia esperienza

  • di Sandra Kreit
  • 14 agosto 2020

Se dovessi trovare una metafora per descrivere come sia una squadra di quidditch, direi che ognuno dei membri rappresenta la pietra di un edificio. Chiunque ha il suo posto, il suo ruolo, la sua importanza. 

Gioco da quasi sette anni, non ho un fisico da fit girl perfetta e non sono nemmeno particolarmente veloce o forte, ma nel quidditch ho trovato il mio posto. Perché? Perché ho imparato a riconoscere e valorizzare quali sono le mie qualità con l’aiuto di una squadra eterogenea. La mia bravura consiste nell'avere la capacità di analizzare ogni istante della partita e di sapere quando è il momento giusto per lanciarmi. Il quidditch è l’unico sport che, in una competizione, considera questa mia abilità al pari di un’ottima condizione fisica e mi trasforma in un’avversaria potenziale. Ogni giocatore viene valutato non in base ai chilometri che riesce a percorrere, ma in base a quello che gli permette di far vincere la sua squadra.

Prima di giocare a quidditch odiavo la parola competizione perché suonava come un qualcosa di negativo e di ostile, mentre adesso non vedo l'ora di preparare la mia valigia per partire e giocare un qualsiasi torneo. Ho imparato che la competizione può essere sana e rispettosa e che fuori dal campo, finita la partita, vincitori o perdenti, non esiste astio con l'altra squadra. Ma ciò che più è importante è che non temo più di dover rimanere in panchina perché non sono la "sportiva tipica".

Nessuno deve aver paura di "non essere al livello".

Il quidditch insegna, il quidditch sorprende.

È lo sport per chi vuole dimostrare le sue capacità e sentirsi valorizzato. È lo sport che unisce perfettamente la parola competizione con la parola comunità.